qualità dell'aria

Decarbonizzazione: la transizione energetica europea

Si parla di decarbonizzazione per intendere un processo in cui si riduce il rapporto tra il carbonio e l’idrogeno.

Nelle fonti energetiche che utilizziamo quotidianamente vi sono elementi chimici che reagiscono in maniera diversa. È infatti storicamente riconosciuto come il carbonio possa essere nocivo per l’inquinamento dell’aria. Questo elemento infatti, se bruciato, è in grado di legarsi alle particelle di ossigeno presenti nell’aria, generando CO2, ovvero anidride carbonica

L’anidride carbonica, prodotta naturalmente da molti organismi, se generata in eccesso e artificiosamente può saturare la capacità di conversione delle piante, inquinando l’aria. Gli alberi, che utilizzano la fotosintesi clorofilliana per convertire la CO2 in ossigeno, non riescono ad assorbire tutta l’anidride prodotta, che rimane nell’aria e danneggia la nostra salute. Si parla dunque di decarbonizzazione proprio a intendere un processo che mira a diminuire la presenza di carbonio nell’aria, riducendo le emissioni di CO2.

Decarbonizzazione e combustibili fossili

Principali responsabili della produzione in eccesso di CO2 sono i combustibili fossili. Questi elementi, ricchi di carbonio, se vengono bruciati, liberano nell’aria l’anidride carbonica, saturando la capacità di sintesi di alberi e piante. 

Non tutti i combustibili fossili hanno però la stessa quantità di carbonio. La legna il materiale con il più alto contenuto di carbonio: per ogni atomo di idrogeno ce ne sono 10 di carbonio. Il petrolio invece ha un rapporto carbonio-idrogeno pari a 1:2, ciò significa che per ogni atomo di carbonio, ce ne sono 2 di idrogeno. Il combustibile migliore in termini di presenza di carbonio è il gas naturale, che ha un rapporto 1:4, confermandosi come il più “pulito” tra i combustibili fossili. 

Ciò ha dato a pensare a molti che la decarbonizzazione del paese, ovvero la diminuzione delle emissioni di carbonio nocive attraverso l’utilizzo di fonti con un minore rapporto di carbonio, potesse passare dal gas. Ciò è auspicabile solamente in parte. Se è vero da una parte che il gas naturale è il combustibile più pulito, dall’altra vi sono una serie di controindicazioni che non possono essere tralasciate.

  1. La combustione di gas produce comunque CO2
  2. La maggiore diffusione del gas naturale causa l’aumento dei costi di importazione, che ricadono sulle famiglie italiane
  3. Ci sono energie rinnovabili che possono sostituire il gas producendo energia a emissioni zero.

In altre parole siamo convinti che un processo di miglioramento dello stato globale dell’aria non possa passare da una risorsa che “inquina meno”, specie quando sono disponibili soluzioni a impatto ambientale zero che favorirebbero una decarbonizzazione completa.

Dall’accordo di Parigi all’Agenda 2030

L’accordo di Parigi ha segnato un punto di svolta, almeno teorico, per l’ambiente e per i cambiamenti climatici, puntando a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°. Per fare questo è fondamentale considerare il ruolo dell’energia e dei combustibili fossili. L’anidride carbonica è infatti considerata uno dei principali gas serra che, rimanendo nell’atmosfera, contribuisce all’aumento della temperatura terrestre.

Proprio per questo la decarbonizzazione è stata portata sul tavolo dell’accordo di Parigi, che mira all’obiettivo di ridurre le quantità di CO2 liberate in atmosfera almeno del 40% rispetto al 1990. Ciò ha forse lasciato intendere che basti semplicemente scegliere il meno inquinante tra i combustibili fossili. Purtroppo non è così: continuare a utilizzare combustibili fossili per il fabbisogno energetico del Paese significa semplicemente spostare temporaneamente il problema per affrontarlo nuovamente in seguito, senza avere un quadro chiaro di cosa possa accadere nel frattempo. Le direttive dell’Unione Europea, che mirano al raggiungimento agli importanti obiettivi sanciti dall’Agenda 2030, possono essere raggiunti in maniera stabile e sostenibile solamente attraverso un cambio di paradigma che vede l’utilizzo delle fonti rinnovabili in maniera estensiva e continuativa per sostituire le vecchie risorse inquinanti.

Vuoi sapere di più sul cambiamento climatico? Leggi l’articolo Cambiamento climatico: cause, conseguenze e 5 modi per contrastarlo

Carbon Footprint: un’impronta indelebile

Proprio al fine di sensibilizzare aziende e persone sul tema di una sempre più necessaria decarbonizzazione è stata creata la Carbon Footprint, l’impronta di carbone. Questo indice intende misurare la quantità di CO2 prodotte per produrre un prodotto, o nella vita di una persona o azienda, oppure ancora in un determinato arco di tempo. In altre parole la carbon footprint vuole calcolare l’impronta che quel dato prodotto o quella data persona lascia sul pianeta, un’impronta tutt’altro che sostenibile spesso. 

Se pensi che 1 kg di yogurt può produrre fino a 1,1 kg di emissioni di CO2 e 1 kg di carne bovine ne può generare fino a 26 kg! Se si pensa a tutti i processi messi in atto nella fase di allevamento e quindi a tutta la filiera produttiva che segue, il trattamento, il confezionamento e il trasporto, possiamo capire come i prodotti che utilizziamo tutti i giorni possano lasciare un’impronta significativa sul pianeta.

decarbonizzazione

Decarbonizzazione al 100% in Italia entro il 2050: un obiettivo possibile?

Come già accennato, l’Unione Europea ha fissato come obiettivo primario, un’Europa a zero emissioni entro il 2050. Ciò implica una decarbonizzazione pressoché totale delle energie in primis ma anche dell’economia. Per molti sembra un obiettivo irraggiungibile, dal momento che un processo così importante necessita di interventi massicci e investimenti di lungo periodo.

Legambiente non la pensa così e risponde con una roadmap che definisce le azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo entro il 2040. Secondo Legambiente è possibile raggiungere la completa decarbonizzazione del Paese attraverso 8 leve:
  1. Semplificazione delle autorizzazioni da parte delle regioni per l’installazione di fotovoltaico ed eolico.
  2. Utility scale e comunità energetiche. Aumentando la presenza di grandi impianti pubblici (utility scale) e privati (comunità energetiche) è possibile creare un meccanismo virtuoso dove più sistemi collaborano per il raggiungimento dell’obiettivo
  3. Sistemi di accumulo e segnali di prezzo. Secondo Legambiente i sistemi di accumulo possono favorire una stabilità dei prezzi delle rinnovabili. Inoltre la prevedibilità dei prezzi a lungo termine potrebbe permettere una previsione più accurata e permettere di raggiungere gli obiettivi in maniera più efficace.
  4. Efficienza energetica: l’efficienza energetica e le politiche volte a migliorarla a livello collettivo rappresentano una forte leva per la transizione energetica sia per i privati che per le aziende.
  5. Elettrificazione delle città: mobilità e riscaldamento. È fondamentale operare la transizione all’elettrico per questi due settori. La mobilità, sia privata che pubblica, può beneficiare della presenza delle colonnine e di politiche che favoriscano la transizione. Per il riscaldamento, invece, Legambiente individua l’abbinamento di pompe di calore e fotovoltaico residenziali come soluzione per il fabbisogno termico su larga scala.
  6. Potenziamento della rete. Ovviamente per sostenere un fabbisogno elevato di energia elettrica sarà necessario potenziare la rete e ampliare le interconnessioni.
  7. Biometano. Legambiente auspica un aumento dell’utilizzo di gas metano, specie per i trasporti, ma anche per l’utilizzo domestico, in cucina per esempio. Questo gas, rispetto al gas naturale, viene prodotto abbondantemente in Italia e non necessita di essere importato.
  8. Eolico galleggiante. L’utilizzo di questa fonte può fare la differenza, sebbene la tecnologia che ne permette l’implementazione in condizioni favorevoli per la tipologia di costa italiana sia ancora in sperimentazione.
Vuoi scoprire quando conviene cambiare il proprio metodo di riscaldamento domestico? Leggi l’articolo Installare la pompa di calore: quando conviene?